giovedì 8 agosto 2013

C'è solo un Capitano!

Ci sono momenti nella vita in cui capisci chiaramente e senza ombra di dubbio che il tempo passa, il nostro presente cambia e i ricordi mutano in immagini sbiadite di una realtà ormai irrecuperabile. Triste? Certamente sì. Ma lo scorrere veloce dell'esistenza non ha accesso a quella parte della nostra mente che continua gelosamente a custodire tutte le emozioni più importanti, passate, presenti e future. Ieri sono riuscito a rivivere un po' di quelle emozioni e a sentire quella nostalgia che porta con sé un mondo intero. Per Padova-Sydney (amichevole del ritorno in Italia contro la squadra in cui debuttò) credo che più di metà dei 16.000 allo stadio Euganeo sia stata lì solo a osannare Del Piero.


Vidi il Capitano nel novembre 1995 a San Siro. Innamorato di quella Juventus che era da poco tornata agli antichi splendori sotto la guida di Marcello Lippi, non esitai a chiedere a mio zio (tecnicamente cugino di mia mamma, ma familiarmente "zio Lino") di portarmi con sé a vedere il mio idolo, l'erede di Baggio, il giovane che stava bruciando le tappe e aveva appena inventato un gol che porterà sempre il suo nome (il tiro dal limite sinistro dell'area, a rientrare sul secondo palo, non è stato di certo inventato da lui, né è solo sua prerogativa, ma per stagioni intere il Capitano è sempre stato letale da quella zolla). Il fatto di dovermi infiltrare in un club rossonero e di finire nella curva milanista non fu certo un problema. E nemmeno vedere il Milan in doppio vantaggio dopo appena un quarto d'ora di gioco. Esultare al gol inutile ma splendido di Pinturicchio in mezzo ai tifosi avversari fu semplicemente una gioia folle.
Da quel giorno i poster di Alex in camera mia aumentarono di numero, tutti intorno a quello magnifico di lui con le roi Michel Platini negli spogliatoi di Roma ad alzare insieme al nuovo 10 bianconero la coppa con le grandi orecchie. Da quel giorno sono passati quasi vent'anni di tifo più o meno impetuoso e di ammirazione totale per l'uomo e il giocatore Del Piero, attraverso vittorie e sconfitte (la più bruciante quella in finale di Champions col Borussia Dortmund: anche là un capolavoro reso inutile dalla sconfitta), cadute tremende e rinascite inaspettate.


Il calcio non è la vita, può essere al limite una passione, un hobby, uno svago, uno dei tanti modi di fare esercizio fisico, un lavoro. Ma quando quella passione diventa elemento di congiunzione, un filo rosso che, sotto sotto, si intreccia a tutti i fili della nostra storia, le cose cambiano. Ieri sera l'estremità del mio filo rosso è venuta allo scoperto, dopo vent'anni passati ad essere solamente una parte di per sé insignificante del vestito che avevo cucito addosso. Il Capitano era sulle pagine del mio diario del liceo, mi ha consolato coi suoi gol durante le prime delusioni amorose, era a volte il mio unico momento di svago - il mercoledì e la domenica - mentre studiavo otto ore al giorno per gli esami in Conservatorio, e molto altro ancora. Per un periodo fu addirittura il ragazzo che avrei voluto essere: padovano (d'adozione) come me, col sogno realizzato di diventare un calciatore e l'umiltà mantenuta sempre nonostante il peso delle responsabilità. Quando l'anno scorso la sua strada si divise da quella della Juventus l'amarezza fu grande, così come la sensazione che fosse finita un'epoca. Vederlo ieri in campo è stata una gioia infinita e al tempo stesso la certezza che un'intera fase della mia vita è ormai dietro le spalle. Si è forse simbolicamente chiuso un cerchio aperto nel lontano 1995, l'anno della svolta per me, l'anno in cui divenni forse davvero più maturo, certamente più sicuro di me e meno in balia del mondo che mi circondava. Ma è stata comunque una bella sensazione, di ritorno dallo stadio, addormentarmi con le fotografie della mia adolescenza nella mente e nel sorriso la speranza del mio futuro.
"Un Capitano, c'è solo un Capitano, un Capitaaaano, c'è solo un Capitaaaano!"


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