domenica 16 dicembre 2012

Una convivenza quasi civile

Diciamolo chiaramente, Gatto e io non ci sopportiamo. Fortunatamente è entrato nella mia vita solo marginalmente, da quando due anni fa l'ho preso per farne dono di compleanno a Lei (era ancora un mucchietto di peli che da pochi giorni si reggeva a malapena sulle zampe).
Il ricordo del nostro primo viaggio in macchina è indelebile: un miagolio dietro l'altro, sembrava non finisse mai il fiato. Io, affranto per il dolore lancinante che pensavo provasse dopo essere stato strappato da mamma gatta, feci tutto il tragitto ai trenta all'ora, per evitargli scossoni, parlandogli e tranquillizzandolo sul suo roseo futuro. Mi era tuttavia simpatico quando, per salire sulle ginocchia mentre eravamo tranquillamente seduti a tavola, si inerpicava sul mio polpaccio come un giovane temerario sul palo della cuccagna. Avrei dovuto presagire il peggio quando cominciò a giocare usando un po' troppo artigli sempre più simili a sciabole e denti sempre più acuminati. Ma Lei lo difendeva, già allora addossandomi colpe che non avevo ("Poverino, lui gioca, sei tu che non dovresti allungargli la mano!").
Il tempo passava veloce e Gatto si mostrava sempre più schizofrenico, alternando languide ricerche di coccole a momenti di follia pura, comprensivi di aggressioni immotivate e corse spaventose e imprevedibili ad artigli spianati (scala, divano, armadio, letto, sedia, divano, armadio, scala, bagno, divano, letto, divano, scala). Ogni volta che entravo a casa mi si parava davanti, prima con lo sguardo perplesso di chi non capisce perché ti ostini a invadere il suo territorio, poi strusciandosi a coda ritta tra le mie gambe (nel linguaggio della sua specie equivarrebbe a dire: "Ehi amico, tranquillo, vieni pure, ti riconosco e la mia casa è la tua casa!"). Ho sempre cercato di comprendere Gatto e mi prodigai addirittura per trovargli una via di salvataggio quando, incosciente e pure un po' idiota, era andato a trovare sollazzo sull'albero più alto del giardino, senza prevedere che sarebbe anche dovuto scendere prima o poi. Rimase su quell'albero una notte intera, perché lui, Sua Maestà gattesca, aveva le vertigini!
Dopo quasi due anni ho finalmente capito il motivo dei suoi dispetti: amiamo la stessa donna. Il fatto è che Lei amerebbe Gatto, ma è biologicamente impossibilitata a farlo e perciò sta con me. Entrambi non hanno ancora metabolizzato questo amore impossibile, quindi Gatto fa i dispetti a me e Lei lo giustifica sempre, dimenticando però che sono stato io a portarli a convivere sotto lo stesso tetto. Siamo arrivati a livelli insostenibili, ai limiti dell'umana sopportazione. Gatto dorme con Lei quando io non ci sono e, quel che è peggio, ritiene che il posto al suo fianco nel letto gli appartenga ormai di diritto. La routine è diventata questa: io arrivo in camera, Gatto presagisce e comincia a guardarmi storto, io mi infilo sotto le coperte - al MIO posto - e Lei chiama Gatto, l'immonda bestia attende che io mi assopisca (beandosene nel frattempo del mio occhio socchiuso a scrutare i suoi movimenti) e poi sferra attacchi ai miei piedi, risvegliandomi di soprassalto e impedendomi di fatto un tranquillo riposo. Un po' di tempo fa, quando Lei riceveva una telefonata da me, Gatto cominciava prima a strusciarlesi addosso, per attirarne l'attenzione, poi, se io ero ancora dall'altra parte della cornetta, cominciava a morsicarla e graffiarla, fino a costringerla a terminare la chiamata per potersi dedicare soltanto a lui. Non fa più questa pantomima da qualche settimana; sono certo che non si è arreso, ma sta semplicemente architettando qualcosa di ancora più terribile.
Un unico dubbio mi sorge quando mi avvicino a Gatto: non è che sarà così scontroso con me perché mi sono sempre fatto promotore della sua castrazione? Allora lo guardo con malcelata e malvagia soddisfazione. E lui lo sa.

PS: per chi fosse curioso di dare forma alle parole, Gatto è questo nelle foto. Non fatevi illudere dal suo falso sembiante: il demonio conosce mille trucchi per non farsi riconoscere.



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