giovedì 20 giugno 2013

Settimana 25

Dopo circa sei mesi di silenzio, mi pare giusto scrivere il terzo post in cinque giorni. Sono fatto così, vado a periodi e a ondate. A quanto sento tra ufficio, treno e piscina, amici, parenti e conoscenti, gli argomenti di cui potrei parlare sono i più disparati: meteo, caldo, afa, sudore, temperature insopportabili. Per fortuna anticipo tutti in banalità e ne ho già accennato qualche giorno fa a sufficienza. Altro trend della settimana il calcio, con gli Azzurri in Confederation cup, le magie e le idiozie di Balotelli e la palla che ricomincia a rotolare dopo appena qualche settimana dalla fine del campionato; quando raramente svesto i panni di ultrà, mi sento intimamente vicino alle povere donzelle che sopportano i deliri dei maschi italiani (tuttavia depreco la loro sempre più scarsa propensione a sopportare la frittatona di cipolle, la birra ghiacciata e il tradizionale rutto libero durante la diretta Rai). Ma siccome ne parlano appunto già in molti, meglio lasciar perdere.
Vorrei invece commentare una recente notizia che, come nella migliore consuetudine del giornalismo 2.0, ha cominciato a diffondersi velocemente grazie alla condivisione di un video sui social network (a occhio e croce direi che Facebook questa volta è stato più propulsivo di Twitter, ma non ho svolto un' indagine approfondita). Inserisco il video alla fine di questo post, mentre la notizia è facilmente reperibile attraverso Google ("ERT orchestra", "chiusura tv di stato greca"); non fornisco link diretti ad articoli particolari per evitare di fornire visioni parziali della vicenda: ognuno si scelga le fonti che preferisce, la sostanza non cambia.
In breve, nella Grecia ormai devastata dalla crisi economica, il governo ha deciso di chiudere la televisione di Stato e con essa la sua orchestra; mutatis mutandis, hanno chiuso dalla sera alla mattina Rai e orchestra sinfonica della Rai. Il lato emotivo della questione, chiarissimo nel video dell'ultima esecuzione dell'orchestra ERT, non ha bisogno di ulteriori parole: vedere il pianto di persone che stanno perdendo il lavoro della loro vita è tremendo, per me che sono anche musicista il dolore è ancora più invadente. Commentare certe situazioni è razionalmente ed emotivamente molto complesso, sono combattuto tra lo sdegno di vedere ancora una volta il disinteresse totale delle istituzioni nei confronti della cultura e dell'arte e la consapevolezza che, nei periodi di crisi, il pane e la salute sono beni molto più tangibili ed essenziali (cito mio malgrado un moralmente infimo esponente della nostra classe politica, che espresse più o meno lo stesso concetto con molta meno eleganza e con la faccia tosta di chi ha tolto in parti uguali alla cultura, alla sanità e al lavoro/cibo). Indipendentemente da ciò, la sensazione che mi rimane è che lo smantellamento di determinati settori culturali sia manifestazione dell'abisso in cui sta precipitando una popolazione. Ho provato a sostituire i fattori e tingerli di bianco, rosso e verde. La nostra tv pubblica è sicuramente un carrozzone non sempre difendibile, propone spesso programmi di qualità mediocre e decreta il successo di personaggi perlomeno discutibili, parimenti molti enti lirico-sinfonici offrono musica assai inferiore alla loro fama, ma entrambi hanno una storia e una funzione sociale e culturale che va oltre il triste presente. Bisogna intervenire a sanare sprechi, errori e irrazionalità vergognose, ma la distruzione non può mai essere la risposta migliore. La musica, la letteratura, la pittura, il cinema, la vera informazione sono come le nostre madri e i nostri padri: li diamo per scontati perché ci sono sempre stati, ma quando li perdiamo muore con loro una parte di noi.
Non riesco a passare sotto silenzio un'altra considerazione: ho visto molto più sano nazionalismo e amor di patria nelle lacrime di quegli orchestrali e nei volti della folla che assisteva per le strade alla trasmissione del concerto, che non nelle braccia tese e nelle teste rasate di tanti idioti che popolano i nostri stadi o il nostro Parlamento (non noto grosse differenze attualmente tra i due luoghi). Perché? Perché ci si deve accorgere dell'immenso valore della nostra cultura e società, e delle altre culture e società, solo quando sono di fronte al disfacimento? Perché lasciamo che le motivazioni economiche guidino le nostre scelte sempre e comunque, salvo poi dover ammettere di aver sbagliato solo a giochi fatti e finiti? Vorrei fare la mia piccolissima parte nel diffondere l'idea che l'attualità greca deve servire a monito per la nostra. Non credo sinceramente che ci siano grosse differenze e non credo nemmeno che sia uno scenario a noi così lontano, nonostante le rassicurazioni di molti politici inutili e incompetenti.
Svegliamoci, prima che sia troppo tardi. Le armi e i forconi servono a fare le rivoluzioni tardive, per fare quelle durature forse basterebbe  aprire gli occhi sul mondo che ci circonda ogni giorno.


Nota di oggi: pare che la situazione stia evolvendo e il governo greco proverà o sarà costretto a ritornare almeno in parte sulle decisioni prese. Sarebbe un bel segnale di speranza, nonostante tutto.

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